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I POVERI: SACRAMENTO DI DIO E DELLA CHIESA 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE - I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI Immagine I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI 19 novembre 2015
SUSSIDIO GIORNATA MONDIALE DEI POVERI Immagine SUSSIDIO GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Premessa  

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse, per questo, il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine. Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, sacerdoti. Dopo una trafila di studi, cioè dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà, insomma, è una carriera. E, per giunta, tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina. Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi". E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Se l'è portata perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce". Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera. E ce l'ha voluta insegnare. Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate. Proviamo a delinearne sommariamente tre.

 

1) Povertà come annuncio

A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona. Non va demonizzata, semmai potremmo discutere su come la si utilizza. Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema. Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità". In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.

2) Povertà come rinuncia

È la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi. In realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica. Quest’ultima interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole. E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso. La testimonianza, non l'ostentazione.

3) Povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere. Come non può tacere dinanzi ai modelli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali. Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro. Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste "piovre" che il Santo Papa Giovanni Paolo II, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà! Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza. E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze. La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta. Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere. Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti. Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento. L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine. In seguito ad un incontro con l’Associazione francese "Lazare" i cui appartenenti, da anni, condividono le proprie abitazioni con i clochard, Papa Francesco al numero 22 della Lettera Apostolica post – giubilare "Misericordia et Misera" ha avuto l’idea di istituire la "Giornata Mondiale dei Poveri" quale segno concreto di eredità dell’Anno Giubilare della Misericordia. Una Giornata che d’ora in poi verrà celebrata ogni anno in tutta la Chiesa nella XXXIII domenica del tempo ordinario, la domenica prima della festa di Cristo Re. Non possiamo più essere cristiani soltanto per tradizione: dobbiamo far entrare i poveri nelle nostre esistenze. La Chiesa di oggi deve lasciarsi toccare dai poveri: la gente che vive per strada interpella ciascun credente, e solo lasciandosi "toccare" da loro l’Europa potrà ritrovare le proprie radici cristiane, quelle stesse radici che, oggi, sembra avere smarrite. Incontrare i poveri vuol dire incontrare Cristo. Ed è aprendo la porta a loro che scopriamo quanto anche noi stessi siamo poveri, mettendoci così nelle condizioni per incontrare davvero Gesù.  L’orizzonte adesso è già proiettato verso domenica 19 novembre 2017, quando per la prima volta la Giornata verrà celebrata ufficialmente. La cosa importante è che la Giornata coinvolga realmente ogni Chiesa locale. Che sia per tutti un appuntamento per riflettere sui poveri e pregare insieme a loro.

GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Suggerimenti

“Ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia (cfrMt25,31-46). Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfrLc16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfrMt11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia” (n. 21).

È una giornata che porta a completamento le Giornate Mondiali già promosse dalla Chiesa… “alle altre Giornate mondiali istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri” (n. 6).

Il Papa insiste su questo punto: “Non pensiamo ai poveri, solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita” (n. 3).

Il Papa stesso indica alcune modalità per vivere questa Giornata che deve essere non una giornata della povertà ma dei poveri.

Invita infatti a mettere al centro di questa giornata l’incontro con i volti dei poveri chiedendo di tenere insieme l’incontro con i poveri e il darsi una mano (vedi logo della GMP) con la vocazione missionaria della Chiesa. Chiedendo a tutti “... di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo.” Sapendo che “I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.” (n. 9)

In particolare suggerisce:

- di promuovere nella settimana precedente momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e aiuto concreto (n.7)

- di rivolgere un invito ai poveri all’Eucarestia domenicale (n. 7)

- avvicinarsi ai poveri che vivono nella Parrocchia come modo per incontrare il Dio che celebriamo (n. 7)

- di vivere il tutto nello spirito di ascolto che trova il fondamento nella preghiera in particolare il Padre Nostro che è la preghiera dei poveri, cioè di coloro che vivono nella fragilità di figli e insieme condividono, partecipano e si assumono la responsabilità dell’a ltro e del bene comune (n.8)

  • "Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso. Dai a loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore". (Beata Madre Teresa di Calcutta)

Il logo e il motto della giornata mondiale dei poveri

La dimensione della reciprocità trova riscontro nel logo della Giornata Mondiale dei Poveri. Si nota una porta aperta e sul ciglio si ritrovano due persone. Ambedue tendono la mano; una perché chiede aiuto, l’altra perché intende offrirlo. In effetti, è difficile comprendere chi tra i due sia il vero povero. O meglio, ambedue sono poveri. Chi tende la mano per entrare chiede condivisione; chi tende la mano per aiutare è invitato a uscire per condividere. Sono due mani tese che si incontrano dove ognuna offre qualcosa. Due braccia che esprimono solidarietà e che provocano a non rimanere sulla soglia, ma ad andare incontro all’altro. Il povero può entrare in casa, una volta che dalla casa si è compreso che l’aiuto è la condivisione. Diventano quanto mai espressive in questo contesto le parole che Papa Francesco scrive nel Messaggio: "Benedette le mani che si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza "se", senza "però" e senza "forse": sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio" (n. 5). 

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