• Chiesa solidale della Caritas Diocesana di Tortolì e Lanusei
immagine Estratto dalla lettera pastorale Sul carro con Filippo di Mons. Antonello Mura


Estratto dalla lettera pastorale
"Sul carro con Filippo"
di Mons. Antonello Mura

3.2 «La carità non avrà mai fine» (1Cor 13,8)
 

«A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri» (Evangelii gaudium, 270). Le parole del Papa mi fanno riflettere molto, pensando soprattutto alla "prudente distanza" che rischiamo di eleggere a scelta pastorale quando parliamo della carità. Il tema del primo convegno ecclesiale diocesano del 2015 si proponeva da subito di evitare queste "distanze", parlando dello «stile di Gesù per una Chiesa accogliente e solidale». E non faccio fatica a collocare in questa prospettiva le diverse scelte fatte in questi tre anni.

La consegna alle comunità e al territorio di due sedi della Caritas diocesana – a Lanusei e Tortolì –, "eventi di Chiesa" e "presidi di carità" come li ho chiamati all'inaugurazione, tanto più importanti perché la Chiesa e la società oggi sono chiamate a rispondere a nuove emergenze. Momenti fondamentali per spiegare che la Caritas non è una realtà diversa dalla Chiesa locale, ma di quest'ultima vuole rappresentare l'immagine più misericordiosa e sensibile, soprattutto come insieme di luoghi per un ascolto umile, amorevole e discreto delle persone.

I poveri che incontriamo infatti – a Tortolì anche offrendo circa 60 pasti giornalieri – non ci interessano perché́ vogliamo dimostrare che siamo "bravi", ma perché sono loro che ci aiutano ad essere un Vangelo vissuto, una generosità̀ condivisa. E per questo ci sono sempre necessarie persone autenticamente volontarie, che non offrono solo aiuto o assistenza materiale ma accoglienza e fraternità. Sono servizi che spaziano dal centro di ascolto alla mensa quotidiana per il pranzo, al prestito della speranza con possibilità del microcredito, oltre a quello degli indumenti. Avviati con continuità nell'Anno giubilare della Misericordia, un dato che ci riempie di gioia e che ci permette di mantenere in sintonia le parole e i gesti, aiutando la nostra credibilità ecclesiale. Personalmente è una bellissima occasione di incontro e di dialogo l'esperienza settimanale del lunedì, che trascorro nelle due sedi, programmando incontri o accogliendo chi arriva per trovare ascolto. Le storie e le vicissitudini della gente mi scuotono e mi provano, dandomi la misura concreta di una realtà̀ che ogni giorno sperimentano i nostri sacerdoti, il responsabile della Caritas e i volontari, e toccando con mano un'umanità̀ sofferente e spesso troppo sola di fronte alle problematiche della vita.

Mi sto accorgendo quanto sia importante per le persone sentirsi ascoltate. Perché quando avviene fanno esperienza di "esserci" per gli altri, si colgono comunitariamente e vivono la gioia che proviene dal fatto che qualcuno si è accorto di loro.

Nessuno però deve pensare che la vitalità di questi servizi debba comportare la deresponsabilizzazione dei singoli credenti o delle stesse istituzioni civili. La Caritas sa che il suo impegno è orientato anche alla sensibilizzazione della responsabilità sia delle comunità – da qui l'importanza delle Caritas parrocchiali – che dei singoli come delle istituzioni sociali. Anche ricordando i doveri di giustizia di quest'ultime. Per tutti, San Basilio Magno già nel 300 d.C. affermava: «All'affamato spetta il pane che si spreca nella tua casa; allo scalzo spettano le scarpe che ammuffiscono sotto il tuo letto. Al nudo spettano i vestiti che sono nel tuo baule; al povero spetta il denaro che si svaluta nelle tue casseforti». Sono convinto che un grande amore ai poveri ci aiuterà (in qualche modo, ci costringerà) a rimanere poveri.

Un'altra affermazione di papa Francesco mi aiuta a introdurre due altri temi di cui vorrei brevemente parlare: i detenuti del carcere e gli immigrati. Scrive il Papa: «Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio» (Evangelii gaudium, 178).

Alle persone detenute nel carcere di Lanusei stiamo offrendo tempi di ascolto e iniziative formative-didattiche coordinate dalla Caritas – grazie alla presenza di un gruppo di volontari – e con il necessario ausilio del cappellano e del responsabile pedagogico del carcere. Si tratta di iniziative mirate, quali un laboratorio teorico-pratico di falegnameria e un progetto che consentirà a chi sta per lasciare la detenzione o si trova agli arresti domiciliari di seguire presso la Caritas dei percorsi di rinserimento nella società. Come diocesi entriamo in carcere per riaffermare che crediamo nel recupero delle persone: storie e rapporti che il male ha lacerato, ma che non dobbiamo pensare che debbano rimanere permanenti. La giustizia punitiva da sola non basta, è necessario che sorga sempre di più quella rieducativa, alla quale vogliamo collaborare come Chiesa locale. Sempre nel nome dell'attenzione alla concretezza delle persone, lasciandoci ispirare dalla Misericordia divina.

L'immigrazione ha raggiunto anche i nostri territori, una volta considerati "lontani" sia dalle rotte dei migranti che come luoghi di accoglienza. Oggi abbiamo sette "centri" nel nostro territorio, tutti con il problema di unificare l'accoglienza con l'integrazione: compito non semplice senza la collaborazione delle istituzioni. La Caritas accoglie diverse persone alla mensa di Tortolì, così come non sono pochi che chiedono di essere ascoltati nelle loro necessità. Siamo sostenuti, anche come credenti, dalla parola biblica del Levitico: «Quando uno straniero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.

Lo straniero dimorante tra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso, perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio» (19,33-34) oltre che dall'invito che Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa antica, quasi provocatoriamente disse in un omelia: «Non create questi xenodocheía (case per stranieri)! Assegnando il dovere di comportarsi in questo modo a un'istituzione, i cristiani perderanno l'abitudine di riservare un letto e avere un pezzo di pane pronto in ogni casa e le case cesseranno di essere delle case cristiane». Quest'ultimo appello ci chiama in causa a un livello diverso da quello che generalmente adottiamo in questi casi: quello di essere come credenti non solo una terra ospitale, ma soprattutto una casa ospitale. La vera integrazione passa da questo gesto. Non bisogna comunque negare che l'allarme nei confronti degli immigrati è divenuto sempre più alto e trascina con sé paure nuove e antiche. L'accoglienza generosa e ospitale che sta facendo emergere innumerevoli e commoventi gare di solidarietà, ha portato molti altri – all'opposto – perfino al rifiuto dei profughi, talvolta ideologicamente visti come una vera e propria minaccia nonostante sia chiaro che stanno sfuggendo alla non vita dei loro Paesi e cerchano luce e futuro per sopravvivere. La causa di questa paura è anche da ricercarsi in alcune domande che sorgono "spontaneamente": ci sarà per noi ancora lavoro, protezione sociale, identità culturale? Su questo s'innesta la paura delle minacce terroristiche che l'opinione pubblica è ormai abituata a collegare ai numerosi sbarchi di profughi sulle coste italiane.

Come reagire? Anche in questo caso, di fronte a questa e ad altre emergenze che purtroppo non mancano, sarebbe necessario intervenire con progetti educativi che ci aiutino a riprendere in mano il valore e la natura della nostra umanità, esorcizzando da credenti gli effetti distruttivi che vi sono presenti, le paure di cui è impregnata, le depressioni che l'attraversano. Favorire (ed educare) una coscienza critica che sgombri il campo dalle mezze verità, dai depistaggi; smascherando paura e menzogna, complicità e condizionamenti creati ad arte. Quello che è certo è che la fede cristiana non può fare da spettatrice nei riguardi di questi temi. E può essere di aiuto ricordare che nel Vangelo la paura è esattamente la controfigura della fede. Così come credere comporta attraversare la paura, per scoprire il senso e la profondità della nostra fiducia in Dio Padre.

Un segno importante in questa direzione si concretizza in diocesi nella proposta dell'annuale Festa dei popoli. Un'occasione per incontrare, conoscere e apprezzare le diverse etnie presenti nel nostro territorio, dimostrandosi reciprocamente accoglienza e condividendo una serata di gioia fraterna. Così come accogliamo con gioia un'altra proposta che papa Francesco ha fatto alla Chiesa universale, quando al n. 21 della Lettera Misericordia et misera scrive: «Alla luce del ‘Giubileo delle persone socialmente escluse', mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia (cfr Mt 25,31-46).

Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr Lc 16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfr Mt 11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia".



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IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario 15 novembre 2020

 

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